Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 24 giugno 2023.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Sé corporeo umano: identificato il precuneo anteriore quale regione chiave. Studiando l’importanza causale della corteccia posteromediale umana (PMC) nell’elaborare il senso di sé, Dian Lyu e colleghi hanno identificato con fMRI, EEG intracranico e stimolazione elettrica in 9 pazienti con elettrodi impiantati bilateralmente nel precuneo e nelle regioni cingolata posteriore e retrospleniale, la regione del precuneo anteriore (aPCu) quale sede chiave per l’elaborazione della sensazione del sé corporeo legata all’identità del soggetto.

Stimolazioni di aPCu causavano distorsioni nello schema corporeo e dissociazione del sé. I ricercatori hanno stabilito che i siti rispondenti di aPCu sono connessi con la rete di default (DMN) e hanno fornito una mappa di strutture causalmente connesse con aPCu. [Cfr. Dian Lyu et al. Neuron – AOP doi: 10.1016/j.neuron.2023.05.013, 2023].

 

Malattia di Alzheimer: un ruolo dell’amigdala nella propagazione della patologia. Secondo l’ipotesi della diffusione simil-prionica, i peptidi β-amiloidi formanti le placche e la proteina tau degli ammassi fibrillari intraneuronici si diffondono attraverso le sinapsi e le cellule gliali. Il complesso nucleare amigdaloideo o amigdala partecipa fin dalle prime fasi al processo patologico neurodegenerativo e, per le sue estesissime connessioni, si indaga quale hub della diffusione. Melania Gonzalez-Rodriguez e colleghi guidati da Daniel Saiz-Sanchez hanno dimostrato un possibile ruolo dell’amigdala nella propagazione dalle/alle aree olfattorie, al lobo temporale ed oltre. [Cfr. Brain Pathology – AOP doi: 10.1111/bpa.13180, June 18, 2023].

 

Scoperti gradienti nell’espressione dei recettori dei neurotrasmettitori nella corteccia. Sean Froudist-Walsh e colleghi hanno adottato l’auto-radiografia dei recettori per misurare la densità di 14 tipi di recettori di neurotrasmettitori in 109 aree della corteccia cerebrale di macaco, e così hanno scoperto un gradiente principale nell’espressione recettoriale per neurone, allineato con la gerarchia che va dalla corteccia sensoriale alle aree cognitive superiori. Un secondo gradiente, guidato dai recettori 5-HT1A della serotonina fa picco nel cingolato anteriore e nelle reti di default e di salienza. Un simile pattern di espressione è presente nel cervello umano. [Cfr. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-023-01351-2, 2023].

 

Comportamento violento degli schizofrenici che hanno subito violenza da bambini. Fabio Panariello con colleghi di provenienza italiana, inglese, australiana, polacca e austriaca ha indagato il rapporto tra l’aver subito violenza nell’infanzia e aver esercitato violenza in età adulta da parte di persone diagnosticate di un disturbo dello spettro della schizofrenia (SSD).

Il campione di 398 pazienti includeva 221 casi con storia di grave violenza interpersonale e 117 non esposti a violenza e fungenti da controllo. Lo studio ha rilevato che coloro che erano stati vittime o testimoni di violenza nell’infanzia presentavano una probabilità maggiore di comportamento violento da adulti, e coloro che avevano assistito a violenza intra-familiare facevano registrare una più alta frequenza di aggressione di un familiare da adulti. L’esposizione molto precoce era associata ad alta probabilità dello sfociare degli stati d’ira in violenza fisica. [Cfr. Psychiatry Research – AOP doi: 10.1016/j.psychres.2023.115299, 2023].

 

Il giudizio di Schopenhauer sul valore dell’intuizione contraddice le tesi di Pestalozzi. La scorsa settimana abbiamo riportato una riflessione dal titolo L’esperienza personale è il nodo di passaggio storico dalla filosofia alla psicologia, sviluppata seguendo Schopenhauer, padre di quella filosofia psicologica da salotto che ha costituito il riferimento culturale laico mitteleuropeo per generazioni, entrando anche a far parte della “cultura popolare”, come è stato notato ai numerosi convegni organizzati dal bicentenario della nascita (1988) agli anni recenti. Abbiamo ricordato che Schopenhauer riteneva che la prudenza si ereditasse dalla madre e il coraggio dal padre; convinzione non trascurabile in un’epoca in cui si viveva la contrapposizione conflittuale tra i sostenitori dell’ereditarietà dell’intelligenza e coloro che, come Johann Heinrich Pestalozzi[1], avevano una fiducia incondizionata nelle risorse dell’apprendimento scolastico e nella capacità di una corretta educazione di contribuire allo sviluppo delle abilità cognitive come alla maturazione della personalità.

Ecco come la pensa Schopenhauer al riguardo: “Ora, mentre noi ci dedichiamo, con tanta serietà, alla prima comprensione intuitiva delle cose, l’educazione d’altro canto si sforza di fornirci dei concetti. Senonché i concetti non ci danno ciò che è veramente essenziale; questo, ossia il capitale, la sostanza vera di tutte le nostre conoscenze, è rappresentato invece dalla comprensione intuitiva della realtà. Questa peraltro può essere acquisita solo da noi stessi, in nessun caso può esserci procurata. Ne consegue che il nostro valore, morale come intellettuale, non ci perviene dall’esterno, ma scaturisce dal profondo del nostro essere, e nessun’arte pedagogica pestalozziana riuscirà a fare di uno nato zuccone un uomo intelligente: macché! Zuccone è nato e zuccone morirà”[2].

Con questa dicotomia, basata sulla personale esperienza, che contrappone intelligenza intuitiva a conoscenza concettuale, Schopenhauer rivela una sua convinzione preconcetta: le abilità intellettive sono innate e nessuna conoscenza potrà promuoverle o surrogarle. [BM&L-Italia, giugno 2023].

 

Il ritorno alla religione nel mondo classico fu in realtà un approdo spirituale della filosofia. Nel mondo classico il conflitto tra religione e filosofia conobbe tre fasi principali: l’attacco alla religione dei pre-socratici, il tentativo di sostituire la religione con l’etica naturale, come in Aristotele ed Epicuro, e il ritorno alla religione degli scettici e degli stoici, seguito dal neoplatonismo e dal cristianesimo. Molti storici ritengono che un simile processo si sia verificato più volte nella diacronia delle vicende umane e qualcuno ha ritenuto di riconoscere periodi di ritorno alla religione in epoca moderna e contemporanea. Sicuramente sono stati compiuti studi che hanno tracciato paralleli suggestivi: “Talete trova riscontro in Galileo, Democrito in Hobbes, i sofisti negli enciclopedisti, Protagora in Voltaire, Epicuro in Anatole France, Pirrone in Pascal, Arcesilao in Hume, Carneade in Kant, Zenone in Schopenhauer, Plotino in Bergson”[3].

Ma, al di là dell’effettivo valore di questo esercizio di accostamenti e identificazioni in qualche caso molto ardite, il reale ritorno alla religione che si verifica nel mondo greco a partire dallo stoicismo ci offre una chiave di lettura per la comprensione di percorsi del pensiero riconoscibili ancora oggi, pur nella commistione, frammentazione e discronia delle esperienze tipica delle società contemporanee prevalentemente multiculturali e orientate da sistemi di comunicazione globalizzata.

Al tramonto dell’epoca classica sicuramente si assiste a un’evoluzione culturale, da alcuni interpretata come una maturazione del pensiero filosofico in chiave religiosa spirituale, da altri considerata come una fase di decadenza per carenza di personalità e scuole all’altezza di quelle del periodo aureo. Allo stoicismo si attribuisce la costruzione di un’etica naturale per le classi intellettuali e, allo stesso tempo, gli si riconosce il merito di conservare i vecchi puntelli soprannaturali per la moralità dell’uomo medio; entrambi gli scopi sono perseguiti conferendo sempre più alla dimensione etica e metafisica una centralità prossima a quella del pensiero religioso, in un registro sempre meno simile a quello della speculazione filosofica.

Zeller ci ricorda che Zenone negò l’effettiva esistenza degli dei popolari[4]; ma una generazione dopo, Cleante chiese di processare Aristarco per eresia. Zenone ebbe un ruolo importante nell’abbandono dello stile di pensiero ispirato al politeismo e nel trasformare lo stoicismo “in una teologia più che una filosofia”, promuovendone l’evoluzione in un sistema che meditava la natura di Dio, la sua paternità di tutti gli uomini, l’identità della virtù con la volontà divina, la provvidenza, il peccato e il ritorno finale del mondo a Dio. A questo stile si aggiunse l’ascetismo celibatario derivato dai cinici che precorse la castità sacerdotale cristiana.

Zenone era nativo di Tarso, dove poi nascerà San Paolo: una pura coincidenza? No, secondo Will Durant: “Da Zenone di Tarso a Paolo di Tarso non c’era che un passo che sarebbe stato compiuto sulla via di Damasco”[5].

All’analisi del nostro seminario sull’Arte del Vivere, le ragioni del ritorno al pensiero religioso quale riferimento antropologico principale appaiono come razionalizzazioni di tendenze collettive derivate da un bisogno individuale condiviso, che le moderne neuroscienze stanno indagando nella sua base cerebrale (v. Lanfredini M., et al., La Ricerca dello Spirito nel Cervello nella sezione “IN CORSO”[6]). La psicologia del bisogno di fede e i fenomeni legati alle esperienze spirituali hanno interessanti basi neurobiologiche, che rivelano processi non acquisiti, da alcuni ritenuti all’origine delle varie culture religiose. [BM&L-Italia, giugno 2023].

 

La mente medievale alle origini del mentale moderno e contemporaneo (XXII) è una tematica che stiamo sviluppando al Seminario sull’Arte del Vivere (v. nelle “Notule” ogni settimana dalle Note e Notizie 21-01-23 alle Note e Notizie 17-06-23) per spunti di riflessione e discussione: qui di seguito si riportano quelli del ventiduesimo incontro.

Nel Medioevo esiste e si sviluppa per secoli un associazionismo cristiano di beneficenza connotato da alcune peculiarità difficili da spiegare sulla base dei costumi del tempo e del pensiero religioso. La ricerca storica ha risolto il mistero, rintracciando un filo di tradizione risalente all’epoca romana e ha trovato le ragioni di scopi sociali in apparente contrasto con lo stile di vita di un devoto penitente nelle vicende e nei costumi delle associazioni di epoca imperiale, progenitrici delle confraternite medievali. Seguiamo Paul Veyne nella sua ricostruzione.

A Pompei, che costituisce il modello archeologico e storico-culturale migliore della città romana, le cauponae[7] sono numerose e non danno solo ristoro ai viandanti fornendo loro vino, cibo e compagnia femminile, ma ospitano anche brigate di amici, compagnie di sodali, mercanti di indumenti devoti a Mercurio, tessitori in cerca di commissioni e altri membri di arti e mestieri. Le cameriere ornate di gioielli splendenti attraggono gli uomini e provocano sfide amorose oggetto di scritte murali; la cattiva fama delle caupone è legata a una dissimulata o malcelata attività di prostituzione spesso presente, così che un notabile sorpreso a farvi colazione perdeva irrimediabilmente la reputazione[8]. Il potere imperiale temeva la deriva di costume legata a quest’uso delle osterie, intese originariamente a fornire un servizio essenziale per dissetare, rifocillare e dare riposo ai viaggiatori, e per quattro secoli combatté a colpi di provvedimenti legislativi l’aumento delle cauponae e la loro trasformazione in termopoli[9], col supporto dell’opinione prevalente nel ceto intellettuale, riflessa nella tesi della moralità del pranzare in casa sostenuta dai retori in varie orazioni.

Non era tuttavia disdicevole per un gruppo di sodali o colleghi prendere i pasti in osteria e, dunque, i membri di quelle speciali associazioni spontanee di cittadini conosciute col nome di collegi (collegia) stabilirono la consuetudine di riunioni conviviali, che a volte erano veri e propri banchetti, sia per definire l’organizzazione dei compiti evergetici sia per festeggiare ricorrenze o eventi sociali. Si ricorda che evergetismo è un termine coniato dallo storico francese André Boulanger per indicare una radicata pratica di beneficenza tipica del mondo greco-romano, descritta negli antichi papiri coniugando il verbo ευεργετέω (“compio buone azioni”) e pubblicamente apprezzata in tutto il mondo classico.

Cosa erano in realtà i collegi? I collegi erano associazioni private cui potevano partecipare uomini liberi, liberti e schiavi, senza alcuna limitazione legata alla condizione sociale e col solo requisito di un sincero desiderio di attuazione dei fini sociali, identificati con un’attività evergetica in onore di un dio o per dar lustro a un mestiere, un’arte o una professione. Si hanno documenti di collegi di fabbri, carpentieri, tessitori, ciabattini, commercianti, di devoti di Mercurio e di Ercole; ciò che caratterizza i collegi, a parte questi aspetti, è la provenienza da una ristretta zona di una città o da un mestiere di tutta una città, ma mai da più città, perché alla loro origine c’è quasi sempre un gruppo di amici. I collegi di epoca romana erano dei collettori di offerte e donazioni, con le quali, oltre ad allestire i banchetti, descritti come gioiose occasioni per cementare i vincoli di amicizia, pagavano funerali e sepolture onorevoli per i membri e i bisognosi, risolvendo così un problema per gli schiavi che, senza l’intervento dei collegi, non avrebbero avuto cristiana sepoltura[10].

Sapendo che i collegi si trasformano in periodo cristiano in confraternite – come ha dimostrato Paul Veyne – allora si comprende perché delle congreghe fondate sulla fede apostolica abbiano il fine di allestire banchetti; così come si capisce il rapporto tra convivialità ed evergetismo funerario, convertito nell’opera di misericordia corporale di dare cristiana sepoltura. Leggiamo in Veyne: “Il banchetto e la sepoltura, questi sono, scrive San Cipriano, i due oggetti delle confraternite; talvolta il gusto di banchettare non si nascondeva dietro nessun pretesto e a Fano, sull’Adriatico, c’era una confraternita di «bontemponi che cenano insieme»”[11].

Le confraternite fioriscono particolarmente in Italia: “A Firenze, racconta Davidsohn, confraternite religiose e artigianali si formavano attorno alla devozione per la Vergine o per un santo; esse celebravano con molta solennità i funerali dei loro membri che accompagnavano fino alla tomba collettiva che la confraternita si era fatta costruire; erano ugualmente famose per il loro smodato amore dei banchetti, spesso destinati a commemorare fondatori che avevano lasciato danaro all’associazione perché bevesse alla loro memoria”[12].

In epoca imperiale il convivio era un costume sociale praticato come mezzo di rapporto col mondo e di recupero dallo stress e dalle fatiche della vita quotidiana[13]: la differenza con un semplice pasto è data innanzitutto dall’apertura all’esterno della casa per quanto riguarda i commensali, poi vi era il prendere i pasti adagiati sui lecti tricliniares o conviviales sistemati intorno al tavolo e, infine, il compito per i commensali di narrare, cantare, recitare o argomentare filosoficamente a seconda delle preferenze di ciascuno. È un’evidente evoluzione del simposio greco in una forma meno strutturata e non necessariamente colta, entrata nella quotidianità per l’evidente efficacia nel ritemprare lo spirito e migliorare il tono dell’umore.

Alcuni storici, col supporto di studi archeologici e filologici, hanno ricostruito lo stile ordinario della vita degli imperatori nei palazzi sul Colle Palatino, destituendo di fondamento le rappresentazioni confabulatorie basate sull’assimilazione ai sistemi di governo imperiale di età moderna: gli imperatori da Augusto a Costantino non avevano una corte e, presso il proprio domicilio dove vivevano con la famiglia, gli schiavi e i liberti, ospitavano i servizi ministeriali. La loro vita sociale era dunque affidata all’organizzazione del banchetto serale: “…venuta la sera cenavano con i loro invitati, che erano dei senatori o commensali di cui apprezzavano la compagnia”[14]. Sembra che questo stile abbia influenzato prima i patrizi e poi tutta la popolazione: “Conclusa la giornata dei «pubblici» onori e del «governo» del patrimonio, il privato cittadino, alla sera, si distende nel banchetto; persino la povera gente (hoi penètes), cioè i nove decimi della popolazione, aveva, in certe sere, i suoi festini”[15].

Nel Medioevo si conserva anche la struttura tipica romana della riunione: la prima parte, la più breve, è dedicata a mangiare le numerose portate, costituite prevalentemente da piatti di carne preparati secondo antiche ricette; la seconda parte, detta comissatio, è dedicata alle libagioni e all’intrattenimento e corrisponde al simposio greco, che poteva volgere sul filosofico-scientifico, quando il banchetto era organizzato con questo scopo, oppure volgere al senso della parola greca κωμάζω da cui deriva comissatio, che vuol dire “far baldoria”, quando il motivo era un festeggiamento. In questa fase, secondo tradizione, si legge: “… se il padrone di casa ha un filosofo domestico o un precettore per i propri figli, gli fa prendere la parola; intermezzi musicali (con danze e canti) eseguiti da professionisti noleggiati potranno rialzare il tono della festa”[16].

Nel Medioevo a Firenze, e più in generale in Toscana, si radica il costume goliardico della commissatio in costume, con trovate teatrali, burle, facezie e beffe talora crudeli. Anche se oggi rimane memoria della novella cinquecentesca di Grazzini detto il Lasca, ispirata a una cena cui prese parte Neri Chiaramontesi[17], le “cene delle beffe” hanno origine secoli prima come parodia dei giovani ai gravi e solenni simposi dei loro professori.

La riflessione cristiana sul costume dei banchetti è proseguita nei secoli, tra l’evidenza evangelica della condanna all’inferno del ricco Epulone, che teneva banchetti quotidiani, e la partecipazione di Gesù con un miracolo al banchetto per le nozze di Cana. Non sono pochi i benestanti medievali che trasformano i loro convivi in mense per i poveri, non rinunciando all’abitudine ma non commettendo il peccato di non invitare Lazzaro lasciandolo a mendicare, come il ricco Epulone. In realtà, come per molti altri costumi con una profonda radice antropologica, si è cercato un compromesso e, così come i numi tutelari sono diventati santi protettori e antiche cerimonie pagane si sono trasformate in feste folcloristiche per ricorrenze cristiane, i collegi romani sono diventati confraternite. [BM&L-Italia, giugno 2023].

 

Notule

BM&L-24 giugno 2023

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Johann Heinrich Pestalozzi, pedagogista e filosofo, nacque a Chiavenna nella provincia lombarda di Sondrio, all’epoca governata dalla Svizzera

[2] Schopenhauer, Aforismi sulla saggezza del vivere, p. 227, Oscar Mondadori, Milano 1994.

[3] Will Durant, Il declino e la fine della libertà greca in Storia della Civiltà – La Grecia, vol. III, p. 224, Edito-Service, Ginevra 1966.

[4] Eduard Zeller, Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung dargestellt, 6 voll., Leipzig 1920-23, tr. it. in 2 voll., Firenze 1950-1951.

[5] Will Durant, Il declino e la fine della libertà greca, op. cit., p. 225.

[6] Nella sezione “IN CORSO” scorrendo in basso, dopo la sezione dedicata ai materiali su “Donne di cervello”, è il sesto del nuovo elenco di saggi.

[7] “Osteria” è la traduzione preferita da Paolino Mingazzini e Francesco Formigari per l’Enciclopedia Italiana nel 1935 e, da allora, la Treccani e le maggiori opere lessicografiche italiane hanno conservato questo valore semantico, in quanto questi locali, in cui si potevano consumare vino e alimenti che non richiedevano una preparazione culinaria, erano associate a camere per il pernottamento. In proposito si ricorda che il termine “locanda” per questa funzione è stato introdotto nel XVII secolo, in riferimento ai particolari locali di quel tempo. Gli storici francesi preferiscono tradurre caupona con “taverna”, perché sembra che molte fossero più vicine a taverne di infimo ordine che a osterie.

[8] Cfr. Paul Veyne, L’Impero Romano in La vita privata dall’Impero romano all’anno Mille (a cura di Philippe Ariès & Georges Duby) p. 137, CDE (su licenza G. Laterza e figli) Milano 1986.

[9] Thermopolium (latino, dal greco thermopolion) è un locale in cui si vendono cibi cotti, vivande tenute in caldo, pietanze e pasti completi oltre a vino, acqua e frutta. È stato paragonato ai moderni fast-food. Celebre a Pompei il termopolio dell’affascinante Asellina. Nel 2020 è stato scoperto un nuovo termopolio il cui banco è decorato con magnifici dipinti bene conservati.

[10] Paul Veyne, L’Impero Romano in La vita privata dall’Impero romano all’anno Mille (a cura di Philippe Ariès & Georges Duby) p. 138, CDE (su licenza G. Laterza e figli) Milano 1986.

[11] Paul Veyne, L’Impero Romano, op. cit. p. 139.

[12] Paul Veyne, L’Impero Romano, op. cit., pp. 138-139.

Si ricorda che, sulla scorta delle confraternite, fu costituita a Firenze, presso la chiesa di Santa Margherita dei Cerchi detta “Chiesa di Dante” la Venerabile Compagnia dei Quochi, dedicata a San Pasquale Baylon, patrono universale dei cuochi.

[13] Come oggi molte famiglie si ritrovano la sera davanti al televisore per cenare ascoltando le notizie del giorno e assistendo a uno spettacolo, così le famiglie patrizie avevano ogni sera il momento conviviale in cui i commensali portavano attualità, svago e cultura.

[14] Paul Veyne, L’Impero Romano, op. cit., p. 136.

[15] Paul Veyne, L’Impero Romano, op. cit., idem.

[16] Paul Veyne, L’Impero Romano, op. cit., p. 137.

[17] Era questa la vera “Cena delle beffe”, poi riscritta a proprio modo dal drammaturgo italiano Sem Benelli (1877-1949), ridotta in libretto per l’opera di Giordano rappresentata nel 1924, che in qualche modo ispirò poi il film di Alessandro Blasetti del 1942.